 |
|
In un momento acuto e perdurante di crisi economica strutturale, occorrerebbe interrogarsi sui principi che devono guidare l’azione dell’amministratore pubblico, dell’amministratore locale in particolare, nell’affrontare le tante e controverse questioni che riguardano il territorio. E’ chiaro che un quadro economico disastrato, con migliaia di posti di lavoro a rischio e la reale prospettiva che con essi anche i servizi pubblici essenziali possano interrompersi, ha in sé la tentazione, antica e mai sufficientemente combattuta, di cavalcare il malcontento e spalleggiare la piazza. E' però questo un modo di leggere la crisi e le vertenze che ne conseguono assai pericoloso e politicamente sbagliato, che affonda le radici in una interpretazione della realtà poco trasparente e per niente onesta, almeno intellettualmente. Certo, lo scaricabarile, molto in voga ultimamente anche tra le istituzioni dello Stato, può consentire, momentaneamente, di sviare l’attenzione dalle oggettive responsabilità di chi governa, ma non sempre paga e alla lunga rischia di incancrenire situazioni già di per sé complesse e difficili da condurre in porto. La cattiva abitudine di non voler raccontare alla gente le cose come stanno resta, sotto il profilo etico, il problema numero uno, che poi è alla base della diffidenza verso la politica e chi amministra. L’uomo di governo perde ogni credibilità quando si trincera dietro il suo profilo seduttivo, buono casomai a strappare applausi dal corteo di turno ma non a mantenere integra l’immagine sussidiaria e di servizio dell’istituzione che rappresenta. Per sintetizzare potremmo dire che gli applausi, quel consenso momentaneo ed artificiale che si ottiene nel frangente in cui ci si sintonizza speciosamente con la piazza e con la protesta, non rappresentano quasi mai preludio di soluzioni concrete. Piuttosto, rappresentano una pratica assai dubbia sul piano morale, che se per le opposizioni può apparire appena plausibile, in alcun modo deve essere tollerata da chi ricopre ruoli di governo.
Ma cosa induce l'amministratore a cavalcare il malcontento? Forse il timore di reazioni scomposte da parte del cittadino. Magari la considerazione che una soluzione tampone possa congelare la problematica in vista di momenti migliori. Non vorremmo tuttavia che a guidare chi prende impegni per soluzioni che non ha e non può avere fosse un malinteso senso della scaltrezza e dell’astuzia o, peggio ancora, un presenzialismo deteriore. In questo caso infatti sarebbe grave e difficile da tollerare. E’ qui ritorna il tema dello scaricabarile. Assecondare la protesta non significa dominarla, il più delle volte si finisce per subirla. Nel caso della Campania, ad esempio, bisognerebbe avere il coraggio di spiegare alla gente che i soldi sono finiti, o che si sono sensibilmente ridotti, e che ogni soluzione va ricercata oltre quello battere cassa indistinto e semplicistico a cui ormai ci siamo abituati. Dinanzi allora ad una situazione di questo tipo, con le casse vuote e delle prospettive poco incoraggianti in tutto il Paese, quale tipo di percorso occorre mettere su per rilanciare i temi fondamentali del vivere civile? La risposta è nell'impostazione unitaria che mi permetto di suggerire. Il muro contro muro spesso andato in scena in questi mesi non ha sortito buoni frutti. Ciò che invece serve è fare fronte comune, studiare soluzioni che abbiano una trasversalità ed una condivisione piena a tutti i livelli, chiedendo agli amministratori locali di essere franchi ed onesti con i propri cittadini. |
|
|