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27/04/2012 Politiche sociali, il documento inviato dalle Regioni al premier Monti: in 5 anni tagli del 93%
DOCUMENTO DELLE REGIONI E DELLE PROVINCE AUTONOME
SULLA SITUAZIONE DELLE POLITICHE SOCIALI IN ITALIA

1. Premessa e quadro di riferimento

Il sistema sociale, a partire dagli anni 2000 ha avviato un processo sistemico per fornire alle famiglie, ai minori, alle fragilità, risposte organizzate soprattutto attraverso servizi: dal counseling al sostegno personale e familiare, alla mediazione dei conflitti nella coppia e nei rapporti genitoriali. Sul versante dei servizi strutturati in forma di accoglienza, residenza e inclusione sociale ha dato risposte organizzate per l’accesso alla rete dei servizi, alla prima infanzia (nidi ed altri servizi socio-educativi), alle disabilità e agli anziani con forte orientamento alla non autosufficienza, integrandosi con i servizi sanitari e di cura, per migliorare le condizioni esistenziali, affiancando anche il mercato privato di cura, per stimolarne la qualità e offrire garanzie ai più deboli.
Ripetuti sono stati anche gli interventi a favore dei bassi redditi a cui si aggiungono le difficoltà dei migranti, soprattutto laddove si tratta di minori non accompagnati. In questa offerta, la componente dei trasferimenti monetari, a differenza di ciò che avviene per lo Stato (invalidità civile e assegno sociale), si è fortemente ridotta per lasciare spazio ai servizi
L’intervento sociale è cresciuto anche per migliorare la fruizione dei servizi sanitari e concorrere alla trasformazione del concetto di “sanità” in “salute” e, di fronte alla contrazione di servizi sociali, andrà a gravare sul sistema sanitario ed ospedaliero una domanda impropria in continua espansione (accessi ai pronto soccorsi, etc.), con costi crescenti per il sistema sanitario senza peraltro rispondere al bisogno in maniera appropriata.
Nel quadro tracciato, il sistema sociale ha visto un incremento dell’offerta e dell’impegno finanziario dal 2003 al 2008 pari al 28,2% per un volume di spesa di circa 7 miliardi. Dal 2010 la spesa sociale ha iniziato a scendere ed a fine 2011 e da prime stime si può ipotizzare una diminuzione intorno all’1% rispetto al 2008.
La crisi economica sta imponendo alle persone, soprattutto a quelle più fragili, grandi sacrifici. I tagli ai bilanci regionali e comunali stanno producendo, fra i più vulnerabili e tra i malati, un crescente senso di abbandono da parte delle Istituzioni, percepite come troppo lontane dai problemi quotidiani delle persone. I nuovi poveri, i precari, i giovani disoccupati, gli immigrati, gli anziani, le persone con disagio sociale sono oggi lasciati ancora più soli che in passato, a causa delle gravi difficoltà delle finanze regionali e locali. Questa situazione non può essere sottovalutata né dall’amministrazione centrale né dalle amministrazioni locali, per il crescente distacco che provoca da parte dei cittadini verso le Istituzioni e dalla politica.
Il rischio è che i servizi vengano chiusi, gli operatori perdano il posto o siano messi in mobilità, i cittadini saranno costretti a far fronte finanziariamente ai pochi servizi di cui possono beneficiare, oppure dovranno rinunciare all’assistenza. L’aumento del disagio e dell’esclusione sociale provocherà “altri costi” (pubblici e privati) che difficilmente il Paese potrebbe sopportare (si pensi anche solo alle ricadute sulla salute e sul sistema sanitario dell’impoverimento e della disoccupazione). In questo modo, gli obiettivi di coesione sociale (richiamati anche nella Strategia Europea 2020) rischiano di essere sacrificati agli obiettivi di stabilità macroeconomica (certamente importanti, ma non indipendenti dal benessere delle persone). Questo scenario non può continuare ad essere sottovalutato dalle forze politiche, né tanto meno dalle Istituzioni nazionali e locali.
Ridurre pesantemente le politiche sociali (e più in generale il welfare) vuol dire rinunciare a posti di lavoro diffusi sul territorio e accessibili ad una vasta platea di giovani. Dall’indagine “Il lavoro nel settore dei servizi sociali e le professioni sociali” del 20091 risulta che gli addetti dell’assistenza sociale pubblica e non, istituzionale e di carattere residenziale, sono al 2001, oltre 740.000, di cui circa 470.000 inseriti nelle istituzioni no-profit e nella cooperazione. Senza contare gli addetti al lavoro di cura familiare (badanti e assistenti all’infanzia) stimati oltre 1.500.000 persone. Le politiche sociali, agiscono quindi per lo sviluppo locale e sono un potente, rapido e diffuso strumento di aumento dell’occupazione (soprattutto giovanile e femminile) sul territorio. Restringere il loro budget, significa innanzi tutto ridurre l’occupazione nelle cooperative, nel no-profit e nelle imprese sociali, producendo effetti moltiplicativi negativi nei territori, in particolare in quelli più deboli.

Per concludere il quadro, sotto il profilo della produzione, va anche detto che i dati ISTAT 2 2008 (ultimo anno disponibile), rappresentano che: 205 mila bambini siano stati accolti negli asili nido, 267 mila famiglie abbiano ricevuto un aiuto per l’alloggio, 512 mila anziani siano stati seguiti a domicilio, 699 mila anziani siano stati ospitati in strutture e centri diurni, 3.892 mila nuclei familiari abbiano ricevuto risposte per l’area minori e famiglia, 84 mila persone con disabilità siano state seguite a domicilio o nella scuola o nella formazione professionale, 583 mila persone con disagio e povertà siano state aiutate dai servizi, e per quanto riguarda la non autosufficienza, come si è detto sopra, 1.500.000 persone provvedono al lavoro di cura familiare (badanti e assistenti all’infanzia), grandissima parte, con lavoro sommerso, che non offre garanzie né al lavoratore né al fruitore dell’assistenza. Come si può osservare, si tratta di una massa di interventi, spesso sfuggenti, perché silenziosi e discreti, ma fondamentali per molte persone (almeno una persona su dieci beneficerebbe di un qualche aiuto). A questo si aggiungono le erogazioni monetarie messe in campo dal Governo centrale.
Nel campo dell’infanzia, nel 2009, la spesa impegnata per gli asili nido da parte dei Comuni era di 1 miliardo e 182 milioni di euro, (al netto delle quote pagate dalle famiglie). Tra il 2004 e il 2009 la spesa corrente per asili nido, ha mostrato un incremento complessivo del 39%, ed è aumentato di 47 mila unità il numero di bambini iscritti ai nidi, che a fine 2009 ammontavano a 192.944 unità. A questi vanno aggiunti i servizi integrativi per la prima infanzia che riguardano, nel biennio 2009/2010, il 2,3% dei bambini tra zero e due anni. Nelle stesse annualità la percentuale dei Comuni che offrono asili nido o servizi integrativi per la prima infanzia e del 56,2%.
Ma proprio nel campo dell’infanzia e della famiglia, povertà, abusi, malattie e trascuratezza sono problemi gravi che se non affrontati oggi peseranno fortemente sui giovani di domani. Giova ricordare, quanto afferma l’OCSE, che in Italia circa 2,5 milioni sono le famiglie in povertà di cui circa 700.000 in povertà assoluta.
2. La proposta di riassetto dei Servizi Sociali: i macro Obiettivi di Servizio
L’offerta di servizi sociali sul territorio italiano non è omogenea, le Regioni, condividendo un percorso anche con ANCI, in attesa dei LEP, secondo gli indirizzi del Federalismo fiscale ( DLgs 68/2011, articolo 13) e del contenimento della spesa pubblica, hanno proposto di riallocare i servizi e le prestazioni sociali in Macro Obiettivi di Servizio, in connessione al Quadro Strategico Nazionale (QSN), e valorizzando il rapporto con il sistema sanitario, le politiche dell’istruzione e del lavoro:

1. Servizi per l’accesso e la presa in carico dalla rete assistenziale;

2. Servizi e misure per favorire la permanenza a domicilio

3. Servizi a carattere comunitario per la prima infanzia

4. Servizi a carattere residenziale per le fragilità

5. Misure di inclusione sociale e di sostegno al reddito (in questo livello sono inserite anche le misure economiche nazionali)

3. Il potenziamento e la riqualificazione dei servizi sociali.
Come si è osservato in precedenza la produzione sociale non può restare immutata. Le Amministrazioni regionali e locali, come i soggetti del privato sociale sono consapevoli che, ancora molto può e deve essere fatto, per migliorare e incrementare la capacità di risposta, per mirare alle esigenze prioritarie, per recuperare efficienza.
Ma, tutto ciò, non trova attuazione in presenza di una riduzione nell’ultimo quinquennio dei finanziamenti pari al 93%. Una nuova stagione deve necessariamente essere avviata e le Regioni lo hanno già chiesto con formali emendamenti alla Riforma Fiscale del 2011, laddove si chiedeva: “ che a decorrere dal 2013 la dotazione del Fondo Nazionale Politiche Sociali del 2013 non fosse inferiore a 1.000 milioni di euro”. La richiesta viene nuovamente formulata con l’impegno a:

- Incrementare l’offerta verso nuovi destinatari (con tempi certi da misurare);

- Predisporre programmi, che in primis, semplifichino le procedure erogative;

- Introdurre meccanismi di cofinanziamento fra i diversi livelli istituzionali che consentano la ripresa delle attività nell’immediato, e prevedano a regime (triennio) l’autonomia del livello locale;

- Introdurre forme di incentivazione degli interventi, con il miglior rapporto costo-efficacia, favorendo l’assistenza domiciliare nelle sue diverse forme e i servizi per l’infanzia;

- Introdurre meccanismi di premialità, prevedendo “soglie ragionevoli” di incremento dell’offerta, nonché percorsi di convergenza e di opportunità di accesso da parte dei cittadini.

Gli Obiettivi strategici sono quelli già presi in considerazione dal QSN e da altri programmi nazionali (Piano per l’inclusione sociale, etc.), in particolare:
- Infanzia: tasso di copertura dei servizi per la prima infanzia: obiettivo di Lisbona 33% di posti sui minori 0-3 anni (Obiettivo QSN 12%)
- Non autosufficienza (comprendente anche disabilità grave): presa in carico di anziani e disabili gravi per assistenza domiciliare integrata, sviluppando la componente di aiuto domestico-familiare: 4% su pop > 65. I Paesi Europei hanno un tasso di copertura del 8% (obiettivo QSN 3,5% su popolazione > 65;
- Povertà, emergenza abitativa e disagio sociale: interventi a favore di almeno il 4% delle famiglie.
4. Le risorse necessarie
Il sistema sociale per ripartire ha bisogno di almeno 1,5 miliardi e considerando il triennio 2013/2015, anche consapevoli dell’attuale condizione economico-finanziaria del Paese, il Fondo Nazionale delle Politiche Sociali dovrebbe ammontare a complessivi 2,4 miliardi (1 per il 2013, 800 ml. per il 2014 e 600 ml. Per il 2015). L’impegno alla fine del triennio è di riportare le Politiche Sociali allo 0,50 di un punto PIL, come erano nel 2009, con un lieve incremento dello 0,25 di punto, comunque ancora molto inferiore alla media della spesa sociale europea , che si attesta all’l,2 del PIL. Tutto ciò, rappresenterebbe un segno dell’impegno italiano di avvicinamento ai parametri europei. Nei termini indicati, le Regioni si assumeranno per il co-finanziamento, specifici impegni finanziari nei loro bilanci e la stessa richiesta sarà rivolta anche ai Comuni.
Quanto proposto è anche in linea con le politiche federali, in quanto il ritardo nell’emanazione del decreto previsto dall’articolo 7 del DLGS 68/2011, che doveva fissare i fondi da sopprimere, porta a constatare l’obiettivo slittamento degli assetti federali, peraltro plausibile in relazione alla grave crisi economica che sta attraversando il Paese. Ed inoltre, anche in vigenza del federalismo può essere richiamato il ricorso al comma 5 dell’articolo 119 della Costituzione, laddove si precisa che per “obiettivi di coesione e solidarietà sociale” lo Stato può intervenire per rimuovere gli ostacoli che impediscono la fruizione dei diritti alla persona.
Le Regioni, avanzano questa proposte, consapevoli che il rilancio delle Politiche di Welfare non avvenga solo con la regolazione del mercato del lavoro, ma anche affrontando i problemi delle classi più disagiate, che difficilmente, potranno approdare al lavoro, per superamento dell’età o per condizioni psico-fisiche e che rischiano la povertà assoluta.
Il reperimento delle risorse economiche potrà avvenire anche tramite alcune specifiche entrate:

a) ripristino delle somme destinate alla Politiche Sociali già previste dalle norme sul prolungamento dell’età pensionistica delle donne (comma 12-sexies articolo 12 della Legge 30 luglio 2010, n. 122);

b) proventi derivanti dalla “lotta all’evasione fiscale” ( si prevedono 12/13 miliardi) di cui almeno un 5% può essere dedicato alla fascia della povertà;

c) risparmi derivati dalle spese per gli armamenti;

d) in tempi successivi, revisione di alcune misure assistenziali come previsto dall’articolo 5 della Legge “Salva Italia” ( Legge 214/2011) che prevede anche la modifica dell’ISEE.

Quadro dei finanziamenti Nazionali alle Politiche Sociali dal 2008 al 2012
(fra parentesi gli anni del finanziamento)

Fondo Nazionale Politiche Sociali:
670,7 (2008) - 518,2 (2009) - 380,2 (2010) 178,5 (2011) 69, 54** (2012)

Fondo Naz. Famiglia e Servizi Infanzia:
197,0* (2008) – 200,00* (2009) – 100,0 (2010) – 25,00 (2011) – 45,00** (2012)

Fondo Politiche Giovanili:
39,8 (2010)

Fondo Pari opportunità:
64,4 (2008) – 30,0 (2009)

Fondo Nazionale Non Autosufficienze
299,0 (2008) – 399,0 (2009) – 380,00 (2010) – 100,00(°) (2011)

Fondo sostegno affitti
205,6 (2008) – 161,8 (2009) – 143,8 (2010) – 32,9 (2011)

TOTALE
1.436,7 (2008) – 1.309,0 (2009) – 1.034,8 (2010) – 336,4 (2011) - 114,54** (2012)

* comprensivo di 100,0 milioni per i servizi socio-educativi per la prima infanzia non rifinanziati dal 2010 (°) solo dedicati all’assistenza domiciliare dei malati di SLA

** non ancora erogati e parte del FNPS resterà al Ministero, quindi la cifra potrà ridursi del 40%