Rubrica "in...fondo, in....fondo"

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Amsterdam fa eco a Parigi. Nuovo stop alla Costituzione, ma il problema è l’euro
UE, DALL’OLANDA UNA CONDANNA SENZA APPELLO
CHE ERRORE RIDURRE L’EUROPA AD UNA MONETA

di Ermanno Russo

Come volevasi dimostrare. Non si sbaglia nel caso di specie a prendere in prestito un’espressione tipica del linguaggio matematico per commentare il dato, inequivoco e plebiscitario, del voto in Olanda. Al referendum di ratifica sulla Costituzione europea il 63 per cento degli elettori ha scritto “nee” sulla propria scheda. Una parolina diversa nella forma ma identica nel significato a quel “non” francese che aveva sconvolto l’Europa soltanto qualche giorno prima. Per dirla in breve: una condanna senza appello alla carta fondamentale dell’Ue.

Ma se sul risultato parigino si poteva ancora discutere, perché l’entità del danno non superava in punti percentuali di molto la metà degli elettori, la bocciatura del Paese dei tulipani si è rilevata nitida, non suscettibile di alcuna interpretazione, inconfutabile. Come per ogni consultazione che si rispetti, anche nel caso dell’Olanda le motivazioni di supporto al trionfo dei “no” sono tante e diverse tra loro. C’è chi ha parlato di chiusura all’Est (tesi cara alla destra populista), chi come in Francia ha rintracciato nel voto un malcontento nei confronti del governo nazionale (che pure ha accusato il colpo ma non getterà la spugna come è accaduto con l’Esecutivo Raffarin), chi invece ha addebitato la sconfitta dei “sì” ad uno scarso impegno di Barroso e del premier olandese Jan Peter Balkenende. Ma davvero l’autarchia ed il ripudio dell’allargamento ad oriente insieme ad un sentimento di avversità nei confronti di un presidente del Consiglio o anche uno spot in meno delle alte cariche dell’Unione possono determinare un trionfo così netto? Oppure il voto francese prima e quello olandese poi hanno contribuito a tirar via il coperchio da un pentolone di insoddisfazione, delusione e – ahinoi – disagio socio-economico che bolliva e ribolliva da tempo?  Io, in tutta sincerità, propenderei per quest’ultima ipotesi.

L’ondata di incertezza che ha provocato l’Unione – non soltanto per la sua ricerca spasmodica di un’identità, difficoltà tutto sommato comprensibile per uno stato sovrazionale che dopo cinquant’anni di convenevoli decide dalla sera alla mattina di fare sul serio, quanto per essere stata e continuare ad essere ostaggio di un distacco burocratico ed anti-democratico – oggi investe tutti i Paesi dell’Europa. E sarebbe un grave errore interpretativo e politico considerare tale disagio lontano da noi, distante chissà quanto dall’Italia. Dico ciò in virtù di due ragioni fondamentali. La prima è di natura formale: nel nostro Paese la ratifica del Trattato costituzionale è avvenuta tramite passaggio parlamentare, in modo legittimo (perché previsto dalla nostra Costituzione) ma di sicuro meno partecipato che in Francia ed in Olanda.

La seconda rinvia alla proposta, oggi sui giornali nazionali, di un ministro della Repubblica, Roberto Maroni, che si dice sì pronto ad indire un referendum ma per tornare alla lira. Ora, pur volendo prendere con larghe riserve le dichiarazioni dell’esponente di governo, che appartenendo ad una forza anti-europeista e profondamente autonomistica come la Lega Nord deve per l’antica metafora del mulino portare acqua alla politica secessionista da anni praticata dal suo partito, resta tuttavia in piedi il dubbio che una considerevole parte degli italiani dell’Ue avverta soltanto i costi senza neanche intravederne i benefici. Come dire, d’accordo che i seguaci del Senatùr esagerano a chiedere il ritorno alla vecchia banconota ma nelle loro parole un briciolo di verità sembra esserci.

A questo punto è lecito chiedersi dove si trovi la verità. E la risposta, purtroppo scontata, è sempre la stessa: nel mezzo. E’ vero che la provocazione di Maroni non porta da nessuna parte, ma è altrettanto vero che la gente ha mal tollerato e continua a non tollerare il ruolo invasivo dell’Europa nelle nostre vite. Ed il ruolo invasivo dell’Europa è praticamente assimilabile a quello, inaspettato e mai sufficientemente condannato, della sua moneta unica: l’euro.

Ma perché si è arrivati a questo punto? Perché il sogno degasperiano, tanto amato non soltanto dai professori di diritto internazionale e dagli studiosi ma anche da generazioni di liberali, democratici cristiani, socialisti e via discorrendo, si è sostanzialmente ridotto ad un conio? Un’ipotesi potrebbe esserci. Forse si è preferito il calcolismo sfrenato di burocrati e banchieri alla saggezza dei popoli. Si è propinata ai cittadini europei una minestra insulsa e poco appetibile, i cui ingredienti sono quello di una tesi di laurea, ancorché brillante e ben congegnata, del più bravo e preparato studente di diritto o economia di una delle nostre università. Un qualcosa che nulla a che vedere con la gente comune, che non deve per forza interessare a tutti.

Dopo il voto olandese, quest’ipotesi si rafforza prepotentemente. Viene da pensare che il giocattolo Europa abbia un difetto di fabbrica, che sia stato costruito con un procedimento inverso ed antitetico rispetto al modello che storicamente ha visto sorgere Stati e Superpotenze. Volendo ridurre tutto ad un’espressione di moda oggi sui giornali, che sia stato costruito dall’alto e non dal basso. Del resto, se la Costituzione è stata considerata un accessorio e la moneta una priorità un motivo dovrà pur esserci. Ma queste sono considerazioni che ai padroni dell’Ue non interessano, in … fondo, in… fondo il processo di ratifica continuerà senza troppi problemi.
06/06/2005