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Il Consiglio Regionale migliora il proprio regolamento, più dignità all’opposizione
UN NUOVO CORSO ISTITUZIONALE CON REGOLE CERTE
ALTRO CHE CONSOCIATIVISMO ED INCIUCIO
di Ermanno
Russo
23/06/2005
Chi ha seguito le vicende ultime del Consiglio regionale della Campania con animo scevro da pregiudizi e da condizionamenti di tipo personalistico, avrà sicuramente colto il senso di un’intesa autenticamente istituzionale, che ha visto la massima assise territoriale rimettersi repentinamente in moto verso traguardi prima considerati distanti anni luce; soprattutto per l’assenza di regole certe e ruoli definiti. I più ricorderanno l’immobilismo imperante che ha contraddistinto in negativo la passata legislatura; elevando al rango di tormentone il termine “paralisi”, sistematicamente adoperato dai giornalisti nelle cronache sui rispettivi giornali e nei resoconti radio-televisivi a margine delle sedute. Questa è la ragione per la quale mi fa un po’ sorridere, oggi, ascoltare a destra e manca filippiche moraleggianti e rimbrotti pretestuosi in cui si grida allo scandalo per l’aumento delle commissioni speciali, soffermandosi sui loro presunti costi e non anche sull’incremento di produttività che le stesse potranno apportare ed apporteranno sicuramente ai lavori del Consiglio.
Si tratta di polemiche vacue, la cui paternità va probabilmente addebitata alla ricerca smodata di visibilità ed alla facile demagogia, piuttosto che ad una disamina attenta della situazione.
Viene da chiedersi, dunque, come sia possibile mettere sotto accusa un’intesa che ha rivoluzionato il funzionamento dell’assemblea regionale, mandando opportunamente in pensione un regolamento, che avrà avuto indubbiamente i suoi meriti sul piano tecnico-procedurale e giuridico, ma ormai vecchio di trenta e più anni. Così come risulta oggettivamente difficile accusare di consociativismo un Consiglio che riesce ad assolvere nelle primissime battute, sin dalle sedute iniziali, ai doveri cui è chiamato dalla legge in fatto di organizzazione interna; dandosi immediatamente un assetto per affrontare i problemi che la gente gli sottopone. Ma vale anche il ragionamento inverso, in questo caso. Appare evidente, cioè, come non si possa decidere delle sorti delle comunità campane senza un meccanismo democratico di approfondimento delle tante e diverse tematiche che attanagliano il nostro territorio. E questo meccanismo è rappresentato, non potrebbe essere altrimenti, dalle commissioni; siano esse permanenti o speciali.
Qual è stato, allora, l’errore? Forse aver eletto subito un Ufficio di Presidenza per garantire sin dalle prime fasi della legislatura un proficuo andamento dei lavori? Oppure aver adempiuto correttamente e concretamente alla nomina dei componenti del Collegio dei Revisori dei Conti? O, ancora, aver cambiato nella sostanza il regolamento dell’assemblea ed aver riconosciuto dignità istituzionale ad un’opposizione che non vuole limitarsi all’ostruzionismo e ripudia il mito aventiniano in virtù di un ruolo di controllo, che in tutti i parlamenti d’Europa viene riconosciuto alla minoranza?
Credo, in tutta sincerità, che l’unico grande errore sia stato commesso da quanti piuttosto che fare i conti in tasca alla Giunta e piuttosto che passare al setaccio i Bilanci delle società miste della Regione, si sono invano attardati a speculare sul funzionamento del Consiglio. A quest’ultimi vorrei ricordare che gli sprechi vanno cercati altrove. Perché un’assemblea che fa sino in fondo il suo dovere, legiferando e mettendo ordine nella vita delle nostre comunità, costa poco, pochissimo ai cittadini. Costa sicuramente meno delle iniziative scoordinate messe a punto dagli Assessorati “x” o “y”, intenti a far nascere veline piuttosto che nuovi posti di lavoro.
Chi cercava nell’intesa istituzionale portata avanti dal governatore Bassolino e dal capo dell’opposizione Bocchino – attraverso la concreta definizione di regole e confini dell’agibilità democratica dell’assemblea – un buon motivo per gridare all’inciucio, credo resterà deluso ed amareggiato. Così come delusi resteranno quanti hanno impropriamente invocato nei loro commenti sui giornali o in altre sedi l’ormai obsoleto Manuale Cencelli; la cui riproposizione nelle vicende regionali non soltanto non c’è stata quanto ha dovuto incassare un duro colpo dalla trasparenza delle azioni politiche sviluppatesi in aula.
Ma se non ha senso per la maggioranza agitare lo spauracchio del consociativismo o del proverbiale “pasticciaccio”, ne ha ancor ameno per l’opposizione, che oggi può finalmente dirsi attivamente della partita. Perché se è vero, come è vero, che la gente ha scelto altri esponenti di partito o rappresentanti della società civile per farsi governare, è altrettanto vero che una parte, seppur minoritaria, degli elettori ha indicato i consiglieri della Casa delle libertà quali depositari delle proprie incertezze, delle proprie esigenze, dei propri problemi. E finalmente l’opposizione potrà, grazie al nuovo corso istituzionale inaugurato in Consiglio, muoversi fattivamente per controllare che il governo funzioni; per incidere con proposte legislative serie sulle più importanti questioni della società odierna (attraverso il passaggio amministrativo delle commissioni speciali e di garanzia); per evitare che l’assemblea si blocchi costando sicuramente più di ogni altro organismo ai cittadini. Per tutte queste ragioni difendo e rilancio i contenuti dell’intesa istituzionale, invitando chi l’ha tanto maltrattata in questi giorni a riflettere sul merito della questione, accantonando il populismo. In… fondo, in… fondo siamo stati chiamati tutti dall’elettorato a legiferare e una maggiore sistematicità nell’approfondire le questioni da portare in aula può farci solo bene.
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