Rubrica "in...fondo, in....fondo"

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LA FARSA DELLE PRIMARIE IN CASA DELL’UNIONE
CARO PRODI, CHE SENSO HA VINCERE CON UN VOTO IN PIU'

di Ermanno Russo

25/07/2005
Sorprende, e non poco, la posizione di Romano Prodi sulle primarie, che subito dopo la pausa estiva andranno in scena in casa dell'Unione. In un'intervista chilometrica pubblicata oggi dal quotidiano la Repubblica, il Professore (appellativo valsogli in virtù dei lunghi trascorsi da cattedratico dell'economia nella politica italiana) sembra volersi accontentare di una vittoria ai punti. In democrazia si vince con un voto in più e spero di essere io ad averlo, ha riferito al giornale fondato da Scalfari. Ma come, lo sfidante del presidente del Consiglio, il politico che si candida a governare il Paese in nome e per conto di una coalizione che ha già peraltro vinto le elezioni Regionali, spera di prendere un voto, un solo voto, in più dei suoi diretti concorrenti? Sembra ridicolo. A questo punto, sorge il dubbio che le primarie all'ombra dell'ormai sepolto Ulivo non servano a legittimare un leader, ma in buona sostanza a farlo candidare. Così non si rafforza la democrazia, la si indebolisce. Sembra pacifico, infatti, come un Prodi in grado di contare soltanto sul 50 per cento dei consensi più una scheda sia un Prodi sotto ricatto; soggetto alla tutela dei partiti minori che rivendicheranno i propri diritti in nome di quel 10, 20, 30 o addirittura 40 per cento strappato alle primarie.
Lo scenario appare apocalittico. E lo è ancor di più se si tiene conto del fatto che lo stesso Professore, nella medesima intervista a Repubblica, nel dettare le regole del gioco chiarisce che toccherà al vincitore scegliere il programma.Un boomerang enorme ed oltremodo pericoloso per quest';ultimo, che rischia di imporre la propria legge non avendo di fatto i numeri per farla rispettare.

Torna alla mente, allora, la prima esperienza di Prodi al Governo e lo sgambetto di Bertinotti, che gli fu fatale. Un Bertinotti rivelatosi allora insidioso, capace di affossare l'Esecutivo con una pattuglia contenuta di parlamentari, che oggi, qualora dovesse arrivare per lui un risultato gratificante dalle urne uliviste, si sentirebbe legittimato a fare altrettanto; potendo contare su una percentuale riconosciuta di consensi all'interno della coalizione, che nessuno e Prodi per primo – potrà mai mettere in discussione.

Quest'ultimo esempio viene anche avvalorato dall'ultima esperienza dell'Unione in fatto di primarie, il riferimento va ovviamente alle Puglie e alla vittoria schiacciante di Nichi Vendola; candidato di Rifondazione comunista eletto presidente della Regione. Non solo. Prodi si auspica che alla sfida, oltre al segretario del Prc, partecipino anche altri leader di partito. Si fanno i nomi di Mastella, Pecoraro Scanio, Di Pietro e si spera che a questi possano aggiungersene degli altri. Quasi si paragonasse la scelta del leader chiamato a candidarsi alla presidenza del Consiglio all'ultima convention programmatica della coalizione, alla quale un pò per protocollo, un pò per bonton si tende ad invitare il numero più alto possibile di segretari. Allora viene da chiedersi perché Prodi, se poi ognuno si crede all'altezza del compito ed è pronto a dimostrarlo con un programma.

L'impressione è che l'Unione, vista con la lente di chi sta dall'altra parte del campo ma che comunque tiene alle sorti del Paese e al rafforzamento di quei requisiti di governabilità che l’Italia merita, abbia scelto di non scegliere; passi il bisticcio di parole.

Demandare alle primarie la risoluzione di problemi interni, i cui strascichi da decenni agitano le acque del centrosinistra ed impediscono di fatto una reale convergenza programmatica sulle questioni di rilevanza nazionale, va configurandosi sempre più come un errore grossolano. La scure non serve in questi casi, meglio sarebbe stato lavorare di cesello. Andare alla conta per scegliere un candidato che dovrà rappresentare un’alleanza dinanzi a tutto il Paese non è, a mio modesto avviso, un grandissimo esercizio di democrazia; così come si affanna a sottolineare Prodi a destra e manca.

Più utile sarebbe stato scegliere con un metodo condiviso e partecipato il programma, ma non anche il nome, la persona, il leader. Non con le prerogative che lo stesso aspirante numero uno si pone: vincere con un solo voto in più rispetto agli altri concorrenti. In questo modo l'unico risultato che si potrebbe sortire sarebbe quello di acuire ancor di più le differenze, già stridenti, fra le tante e diverse forze politiche che compongono la coalizione di centrosinistra. Senza dimenticare che, qualora questa coalizione dovesse davvero vincere, circostanza che naturalmente non mi auguro e che sono certo non si presenterà, sarà improbabile dimostrare al Paese di poter garantire gli standard minimi di governabilità; quelli abbondantemente rispettati ed ampiamente superati dal longevo governo Berlusconi. E questo sarebbe drammatico per l'Italia, in palese affanno negli ultimi anni, a causa soprattutto di una congiuntura sfavorevole e del riflesso di politiche scellerate in sede comunitaria. A proposito di politiche comunitarie e di Europa, come fa un personaggio politico che sulla carta appare di primo, primissimo, piano come Prodi, già presidente del Consiglio e presidente del più importante organo esecutivo dell’Ue (la Commissione), a dover strappare un voto per candidarsi alla guida del Paese? Come è possibile che si sia arrivato a tanto? Come è possibile che l'Unione sia così fiera del passato di Prodi da non disdegnare per un minuto l'ipotesi di mandarlo in arena a contendersi sul campo la possibilità di rappresentarla, insieme ai vari Bertinotti, Mastella, Di Pietro e Pecoraro Scanio? Tutti politici quest'ultimi che hanno dalla loro una storia, ma che di sicuro non hanno governato una nazione o tutte le nazioni dell'Europa come il Professore, e soltanto lui nel centrosinistra, ha fatto.

Allora delle due l'una: o l'alleanza non riconosce a Prodi il prestigio e i risultati dei suoi precedenti incarichi, tanto da costringerlo a guadagnarsi nuovamente la stima degli elettori di centrosinistra con le primarie; oppure ammette che è l'unico candidato possibile all'interno della coalizione ma preferisce tenerlo sotto tutela, mettere a dura prova la sua credibilità all'interno dell'Unione e porre un limite al suo eventuale mandato. Al Professore allora suggeriamo di guardare oltre la punta del proprio naso e mettere in campo tutta l'esperienza che ha collezionato in questi anni per puntare ad un risultato decisamente più gratificante e politicamente rilevante di quel voto in più che abbiamo avuto modo di leggere oggi sui giornali. In fondo... in... fondo, sia da una parte che dall'altra ci si candida a governare nell'interesse del Paese e per poterlo fare con coscienza servono garanzie provate di affidabilità che gli elettori pretendono e che la politica, sia essa di destra o di sinistra, deve dimostrare di poter offrire.