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Il no al manifesto selvaggio è una scelta di campo
di Ermanno
Russo
12/03/2010
Sono candidato al Consiglio regionale della Campania e, in tempi non sospetti, ho avviato una vera e propria crociata contro il cosiddetto “manifesto selvaggio”. Per evitare di incorrere in qualche spiacevole inconveniente, frutto di fraintendimenti o incidenti di percorso, ho deciso di non stampare affatto manifesti verticali sul modello di quelli che si vedono oggi in giro, nei posti più impensabili, e che sistematicamente imbrattano i muri delle nostre città. Ho definito due mesi fa le campagne elettorali a suon di affissioni irregolari in tre modi: anti-ecologiche, sprecone ed inutili. Oggi, a poco più di due settimane dal voto, ribadisco il concetto e lo rilancio apertamente. Non è questione di colore politico, di appartenenza a questo o quel partito, ma di civiltà. I cittadini non ne possono più di vedere imbrattate vie, piazze e ponti, di assistere a questo deturpamento continuo, che oltretutto offende l’intelligenza dell’elettore stesso. Perché? Il perché è semplice. L’assunto di base di una pratica tanto odiosa potrebbe essere riconducibile all’equazione, per qualcuno erroneamente perfetta, che postulerebbe: più manifesti uguale più voti. Un’eresia in piena regola. La gente vuole risposte dalla politica, che siano rapide, certe e concrete. Risposte ai problemi della quotidianità. Tutto qui. Pensare che attaccare un manifesto in più equivalga ad aver convinto un elettore in più è fuori da ogni logica. Anzi, in questo modo lo si irrita e si ha un effetto contrario. La gente è stufa di vedere la propria città sepolta sotto una coltre di faccioni sorridenti. Leggo che ultimamente l’argomento è tornato prepotentemente di attualità. Bene, mi fa piacere che ci sia stato un sussulto di coscienza da parte dei soggetti direttamente impegnati in campagna elettorale, i quali però avrebbero fatto meglio ad eliminare il problema alla radice, adottando un metodo molto simile al mio: niente manifesti di modeste dimensioni, solo 6x3 per spazi regolari. Quando ho deciso di lanciare una vera e propria campagna di comunicazione contro l’affissione sfrenata, ho immediatamente capito che su questo argomento non ero solo. Con me c’erano i cittadini della Campania. Il perché è facile intuirlo, il cittadino è la prima vittima, peraltro innocente, di questo sperpero di denaro che i candidati ancora oggi, nel 2010, amano fare. Ho poi pensato di utilizzare tutti i canali della comunicazione, tradizionale e di ultima generazione, per richiamare l’attenzione dei miei elettori e della gente. Ecco perché sul noto social network facebook ho fondato un gruppo dal nome “No al manifesto selvaggio alle Regionali della Campania”. Un modo per raccogliere le adesioni e gli umori della rete, che spesso e volentieri catalizza le reazioni, anche più estreme, del popolo reale, trasformandole in azione. Questa volta alla gente abbiamo chiesto di impegnarsi in prima persona in questa battaglia e dire basta alla farneticante abitudine di seppellire le città sotto una manto variopinto di cartacce. Sono del parere che le elezioni si vincano con i contenuti. E per veicolare i contenuti oggi serve una sola cosa: esser chiari. Serve dunque una scelta di campo. O di qua o di là. O a favore di una linea o contro. Non esistono vie di mezzo, compromessi, mistificazioni. La mia posizione in tema di manifesto selvaggio è dunque una scelta di campo. Voglio presentarla così ai miei elettori. Voglio farlo sapendo che il candidato presidente Stefano Caldoro, al quale mi lega un’amicizia ultraventennale, la pensa alla stessa maniera. Non si può dire lo stesso di Vincenzo De Luca, il candidato della sinistra, che invece ha preferito procedere senza troppe remore su questo terreno. L’amico Stefano Caldoro ha dimostrato sinora un enorme equilibrio nel condurre la sua campagna elettorale. Sprechi ridotti all’osso, immagini semplici ma immediate, niente frasi ad effetto… soltanto idee, chiare e concrete. Il Pdl ha riportato serietà e dignità in Campania. Stefano Caldoro ha affrontato quest’importante sfida mantenendo un profilo basso, non urlando le sue proposte alla gente ma spiegandole con i contenuti e con la concretezza di chi sa governare. Anche questa è una scelta di campo. In… fondo, in… fondo, la politica deve ritornare ad essere quella che storicamente ed in origine era, vale a dire l’arte di governare la polis, la società. Ed anche allora, come oggi, vinceva chi spiegava meglio le sue proposte ai cittadini, non certo chi urlava e si dimenava come fanno i nostri avversari.
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