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Terzo polo, quell'ibrido buono per tutte le stagioni
di Ermanno
Russo
18/11/2010
Cosa rappresenta il cosiddetto terzo polo nella politica italiana? Sicuramente un'area ipotetica, una fetta algebrica di elettorato, uno spazio indistinto da occupare. Mai un motore programmatico ed identitario, un veicolo di comuni intendimenti, una ragione in più per candidarsi alla guida del Paese. Ciclicamente, di volta in volta e, bisogna dirlo, di crisi in crisi ritorna, riecheggia, questa formula (per la verità poco magica) che quasi sempre poi finisce per incarnare un'affascinante astrazione messa in moto dalla politica di casa nostra. L'ultimo a predicare e praticare la strada del terzo polo fu nel 2000 Sergio D'Antoni, che, dopo aver lasciato la guida della Cisl, decise – alle elezioni del 2001 – di presentarsi da solo, al di fuori dei due schieramenti maggiori, allora Cdl ed Ulivo, conseguendo un magro 3,5 per cento alla Camera (che diventava 2,4 nella parte proporzionale, all'epoca si votava ancora con il Mattarellum) ed un 3,2 al Senato della Repubblica. Risultato: due senatori e nessun deputato. Un dato politico inequivocabile che di sicuro contribuì allo scioglimento di Democrazia europea: la compagine terzopolista confluì, infatti, dopo neanche due anni di vita ed insieme a Ccd e Cdu, nell'Udc di Casini. Le cronache racconteranno poi di un improvviso divorzio dello stesso D'Antoni dall'Unione di centro, alla volta di Margherita ed Ulivo. Insomma, la storia sui tentativi di “grande centro”, “terzo polo” e via discorrendo si è già espressa, dando verdetti netti e difficili da confutare. Tuttavia, all'alba di un'inedita crisi politica, che vede il premier eletto democraticamente dagli italiani essere bersaglio di continui tentativi di sovvertimento della volontà popolare, lo spauracchio di una nuova eterogenea aggregazione terzopolista sembra bussare prepotentemente alla porta degli italiani. Ciò che però stupisce, oggi più di ieri, è l'assoluta inconsistenza del progetto proposto agli elettori. L'ultimo tentativo naufragato di terzo polo, quello intrapreso appunto da Sergio D'Antoni, aveva vissuto una propria gestazione, ancorché fulminea, venendo alla luce dopo una travagliata genesi politica, che non aveva mancato di coinvolgere esponenti di spicco dell'ex Democrazia cristiana come Giulio Andreotti, Ortensio Zecchino, Flaminio Piccoli. Ciò che invece si annovera oggi tra i sondaggi come terzo polo è sostanzialmente un ibrido, una formazione occasionale frutto di convenienze politiche dell'ultimo minuto e composta da partiti sino a ieri nel Governo ed organici alla maggioranza, come Futuro e Libertà ed Mpa, o da sempre all'opposizione del governo Berlusconi, come nel caso dell'Udc e dell'Api di Rutelli. Insomma, tutto e il contrario di tutto. Altra autentica novità di questo terzo polo all'italiana è poi rappresentata dalla totale assenza di una leadership riconosciuta. Chi tra Casini, Fini, Lombardo e Rutelli sarebbe il premier da proporre a Napolitano? Cosa si va a mettere sul tavolo del Quirinale nell'evenienza in cui il Colle dovesse accettare l'ipotesi di un famigerato governo tecnico? Tali interrogativi ad oggi non hanno ancora meritato una risposta ed è possibile pensare che resteranno inevasi ancora a lungo. C'è poi un ulteriore dato che stupisce e che, ove mai dovesse concretizzarsi l'astrusa alleanza di cui sopra, verrebbe fuori prepotentemente, confermando l'antico adagio secondo cui in politica tutto è possibile. Il riferimento è a due leader di questo ipotetico terzo polo, Fini e Rutelli, che paradossalmente rischierebbero di trovarsi insieme dopo che sia il primo che il secondo hanno fondato le loro fortune elettorali dopo uno storico duello a Roma per la conquista del Campidoglio. Inutile aggiungere poi che il dato più singolare ed insieme stupefacente di questa vicenda sia rappresentato, di fatto, dalla totale inopportunità del voto in un momento politico ed economico così delicato per l'Europa. Un contesto disastroso dal punto di vista storico e finanziario, in cui bisognerebbe muoversi con i piedi di piombo e rifuggire da scenari destabilizzanti che ridurrebbero il Paese all'immobilismo, condannandolo al caos. In... fondo, in... fondo, non più tardi di due anni fa e mezzo fa gli italiani hanno indicato chiaramente il premier e la maggioranza da cui gradivano essere governati. Travisare il loro giudizio ed orientamento per dar vita ad un governo tecnico, di cui non se ne sente affatto l'esigenza, appare spregiudicato, inutile e perfino dannoso.
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