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Manovra, un errore snobbare gli emendamenti delle Regioni sul Fondo Nazionale Politiche Sociali
di Ermanno Russo

All'indomani dell'approvazione al Senato della manovra economica che rimette l'Italia sulla strada del pareggio di bilancio, pur condividendo le ragioni che hanno spinto il Governo a scegliere la linea del rigore e della rapidità, non si può nascondere il rammarico per la mancata approvazione dell'emendamento sul Fondo nazionale politiche sociali. Approvato all'unanimità dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome, l'emendamento rappresentava di fatto l'ultima spiaggia prima dell'azzeramento ufficiale delle risorse per l'assistenza sociale nel nostro Paese. Il rammarico si tramuta poi in amarezza se si pensa che le Regioni non si erano soltanto limitate a chiedere, nella fattispecie un rifinanziamento di 900 milioni di euro, ma avevano offerto soluzioni, individuando i capitoli di bilancio da cui poter recuperare le necessarie risorse per rimpinguare il fondo, vale a dire dal plafond per gli interventi strutturali di politica economica. Insomma, le premesse c'erano tutte ed anche le motivazioni. La Conferenza delle Regioni aveva infatti messo nero su bianco lo scorso 1 settembre le ragioni di ciò che si proponeva, ritenendo indispensabile un rifinanziamento del Fondo nazionale politiche sociali per consentire agli enti territoriali di svolgere le funzioni demandate dalla Costituzione che, soprattutto in un momento di crisi economica strutturale come quello attuale, risultano cruciali per evitare alle famiglie e alle fasce più deboli della popolazione di collassare sotto i colpi dei tagli al sistema di protezione sociale. Inutile dire che tali righe, ancorché accorate e condivisibili, poco hanno scalfito il disegno di un esecutivo che ha badato probabilmente ad altre necessità, più vicine ai mercati che alla gente. L'ultimissima spiaggia potrebbe essere quella della Legge di stabilità in programma a fine mese, nelle pieghe delle cui tabelle finanziarie potrebbe trovare posto qualche riscontro alle richieste delle Regioni sul futuro delle politiche sociali nel nostro Paese. Sino ad allora, quindi, ogni territorio sarà costretto a vivere con ansia la vigilia del 2013, anno che con ogni probabilità segnerà la fine di un ciclo iniziato nel 2000 con l'introduzione della legge 328 e conclusosi in questi giorni con il tracollo dei trasferimenti a valere sul relativo fondo nazionale. E' chiaro che le condizioni di vita di alcune aree del Paese, specie al Sud, faranno da catalizzatore di tale processo di svilimento della 328, condizionando ancor di più la stabilità di famiglie e fasce di bisogno. L'attuale governo regionale della Campania, di cui mi onoro di fare parte, ha affrontato con onestà intellettuale la situazione dinanzi a cui questo Governo ha posto le Regioni sul fronte del welfare e dell'assistenza sociale, non esitando ad entrare in polemica con un esecutivo dello stesso colore politico e contestando duramente le discrasie che hanno portato a scelte scellerate nel campo dei servizi alla persona. E' chiaro che la Campania paga più di altre parti d'Italia lo scotto di aver utilizzato male sin dal principio le risorse, inizialmente copiose, della legge nazionale 328 del 2000. E ciò perché mentre da un lato si registrava il tentativo di costruire una governance dei servizi territoriali, dall'altro l'allora Giunta regionale di centrosinistra conservava ingenti risorse, a valere sugli annuali finanziamenti statali, per investimenti diretti e, quindi, definiti a titolarità regionale; ottenendo come unico risultato la polverizzazione degli interventi, una sterile sovrapposizione in sede territoriale e, ciò che è peggio, una rete “spot” di attività. Contestualmente, senza che – come appena detto – vi fosse alcuna programmazione degli interventi, si ritenne di destinare tutte le risorse regionali a partire dal 2007, anno in cui nel frattempo si approvava la legge di attuazione per la Campania della 328, al “reddito di cittadinanza”. L'attuale Giunta regionale, a partire dal giugno del 2010, ha dovuto quindi sia farsi carico dell'esposizione finanziaria scaturente dalla pessima modalità di gestione di tale misura assistenziale, fonte peraltro di un ampio contenzioso che continua a vedere la Regione perennemente soccombente, sia fare i conti con il tracollo dei trasferimenti delle risorse relative al Fondo Nazionale Politiche Sociali, con stanziamenti via via decrescenti e sempre più penalizzanti per la Campania, che dai 103 milioni del 2007 è passata ai soli 4 milioni previsti per il 2012. Nonostante tale drammatica condizione finanziaria, che si inserisce nel contesto di crisi regionale dovuta in particolare al rientro dallo sforamento del patto di stabilità, questa Giunta regionale per la prima volta è stata in grado di programmare le risorse disponibili per il sociale per il biennio 2011/2012, ammontanti complessivamente a 175 milioni di euro; a cui si devono sommare i 34,5 milioni di euro destinati ai Comuni per la compartecipazione alla spesa socio-sanitaria. Ciò significa che, malgrado il disastroso scenario appena descritto, la giunta Caldoro è riuscita comunque a garantire sul piano delle risorse ordinarie finanziamenti certi per l'anno in corso e quello successivo, aggiungendo a questo un ulteriore intervento sulla qualità della governance territoriale dei servizi alla persona, con azioni di sistema calibrate sulla base di un forte investimento di fondi europei. Questi ultimi previsti per il potenziamento dell'infrastruttura sociale e per la sperimentazione di nuovi modelli di gestione. A tali azioni di sistema sono destinati ben 182 milioni di euro in due anni.
08/09/2011