Rubrica "in...fondo, in....fondo"

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Welfare, non solo pensioni. Governo pensi ai livelli minimi dell'assistenza sociale
di Ermanno Russo

Il tema politico dominante di questi giorni, la riforma delle pensioni, rischia di oscurare una serie di aspetti parimenti importanti del welfare, che riguardano la capacità del nostro Paese di assicurare i livelli minimi delle prestazioni sociali alle fasce più fragili della popolazione. E' chiaro che, alla vigilia di una manovra che si annuncia decisiva per i lavoratori, l'accento ricada su età pensionabile ed ammortizzatori sociali, ma non è soltanto questo il welfare di cui oggi hanno bisogno i cittadini, specie in un momento di crisi economica strutturale e dopo i tagli clamorosi del precedente governo ai fondi per il sociale. E' altrettanto palese, infatti, che l'assenza di servizi sociali, almeno minimi e diretti a determinati target di utenza, rischia di far saltare l'intero sistema di protezione sociale, sommando al disagio di chi un lavoro lo sta perdendo o lo ha già perso un ulteriore e grave disagio, quello di chi non è in grado, per un destino avaro e crudele, di provvedere a se stesso quotidianamente. Ho già detto a più riprese del trend disarmante dei finanziamenti nazionali a valere sul Fondo Nazionale Politiche Sociali (per la Campania dai 103 milioni del 2007 ai 4 del 2012), così come ho recentemente rivolto un appello all'intero Consiglio regionale affinché, in modo bipartisan, faccia propria la battaglia del welfare e tenti di appostare almeno 60 milioni di euro nel nuovo Bilancio regionale per l'erogazione dei servizi sociali minimi. Ciò che invece non è stato sufficientemente dibattuto in questi giorni è il documento stilato della Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, che prova a mettere in fila le emergenze e le priorità dei territori italiani, inserendo nei sette capitoli da affrontare subito e concretamente il tema del welfare, inteso questa volta come politiche sociali e servizi alla persona. Se sarà questa una piattaforma utile a far ripartire il dialogo tra Regioni e Governo lo capiremo nelle prossime ore, è però palese che il sistema dei servizi sociali costituisce una priorità, insieme al trasporto pubblico locale e al patto per la salute, di questo Paese. Ma cosa chiedono nello specifico le Regioni al governo Monti? Innanzitutto di aprire un tavolo di confronto e di concertazione, per evitare che le priorità del governo non siano poi le priorità di chi è direttamente impegnato tra la gente, sui territori, e che come tale risulta essere il terminale delle ansie, del disagio e anche della rabbia dei cittadini. Un tavolo specifico sul futuro delle politiche sociali in Italia e, di riflesso, nelle regioni appare oggi necessità non più rinviabile, dettata da un avvitamento ineluttabile che tutto il settore sta subendo dopo l'azzeramento dei fondi nazionali (leggasi svilimento della legge 328 del 2000). Dopodiché le Regioni chiedono di affrontare i nuovi assetti istituzionali in maniera coerente con il rispetto dei diritti civili e sociali dei cittadini, approvando in Conferenza Unificata i “macro obiettivi di servizio”, laddove per macro obiettivi delle politiche sociali si intendono i servizi per l'accesso e la presa in carico, le misure per favorire la permanenza a domicilio, i servizi per la prima infanzia e a carattere comunitario, i servizi a carattere residenziale e misure di inclusione sociale. Ma ciò che più di ogni altra cosa le Regioni rivendicano è riconsiderare in termini positivi, a partire dalla spesa in atto, i finanziamenti 2012 per le politiche sociali, ricostituendo un fondo unico . Chiaramente in un contesto di questo tipo, rappresentato dai presidenti di Regione, di tutte le Regioni a partire da quello della Campania Stefano Caldoro, al Governo per ricondurre il discorso del welfare nel suo alveo naturale, che è evidentemente quello produttivo dei servizi alla persona e non residuale della previdenza e degli ammortizzatori sociali, si va ad innestare un aspetto, formalmente a regime nel nostro Paese ma mai realmente metabolizzato dai territori, che è quello del federalismo. Sono oggi maturi i tempi per poter parlare di federalismo sociale? Di sicuro, la Campania – in un momento in cui va tanto di moda il “passo indietro” – ha fatto un passo in avanti. Ed in che modo ha fatto un passo in avanti? Innanzitutto nel considerare complementari le fonti di finanziamento di cui la Regione può beneficiare, vale a dire risorse strutturali (di provenienza europea e vincolate agli investimenti), nazionali e regionali. E poi un ulteriore passo in avanti l'ha fatto nell'andare a riconsiderare i bisogni delle fasce più fragili della popolazione, tarando su di essi, sui i bisogni reali della gente, “azioni di sistema” in grado di rispondere concretamente alle richieste degli utenti, troncando di netto in questo modo un vecchio costume, o malcostume, regionale che vedeva nell'esemplarità e negli interventi una tantum il modus operandi dominante delle politiche sociali in Campania. Può tutto ciò bastare in supplenza del tracollo dei fondi nazionali per il welfare? Assolutamente no. E' chiaro che nessun processo federalista potrà mai dare esiti in una nazione come l'Italia se non si tiene conto del principi di solidarietà tra lo Stato e le Regioni, principio che deve vivere sulla base del fabbisogno reale e non in linea teorica. E' per questa ragione che appare ancora più pericoloso l'eccesso di polarizzazione sulla riforma previdenziale e sugli ammortizzatori sociali del dibattito sul welfare in corso nel nostro Paese. Tornare indietro sul terreno del riformismo, immaginando una battaglia di retroguarda sugli aspetti riparativi del welfare, ignorando decenni di conquiste e la moderna concezione di welfare produttivo può far saltare l'intero sistema sociale, creando da subito effetti disastrosi sull'economia delle famiglie e dei ceti più deboli. Di qui l'esigenza che l'assistenza torni centrale nel dibattito sociale in atto in Italia, evitando che i clamori di una riforma delle pensioni ciclicamente rinviata dai governi a guida politica della storia repubblica, di destra come di sinistra, fagociti l'esigenza di un settore, quello dell'assistenza sociale e dei servizi alla persona, già in ginocchio e sulla via del fallimento. In... fondo, in... fondo, uno Stato è tale se legittima la sua entità attraverso un'azione di tutela nei confronti dei cittadini più esposti a fenomeni destabilizzanti come le crisi economiche. Voltarsi dall'altra parte ed ignorare i più elementari diritti sociali, venendo meno alla corretta e concreta applicazione del principio di sussidiarietà non soltanto orizzontale ma soprattutto verticale, vorrebbe dire, per l'Italia come per ogni altro Paese oggi nel mondo, far crollare tutto il welfare nazionale.
02/12/2011