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Welfare produttivo tra giovani e donne: un’opportunità da cogliere al volo. Anche in Campania
di Ermanno
Russo
05/09/2012
Le recenti riflessioni di Maurizio Ferrera sul Corriere della Sera di qualche giorno fa aprono un’interessante spiraglio nel dibattito, attuale come non mai nel nostro Paese, sul “secondo welfare” (quello che per intenderci guarda al privato sociale) ed il rapporto di quest’ultimo con il trend, decisamente negativo, dell’occupazione italiana, specie di quella giovanile. Se le cifre parlano sin troppo chiaro, con 600mila giovani della nostra Penisola impiegati nei servizi alla persona a fronte di un milione e mezzo in Francia ed Inghilterra, non tanto lontano dal mondo anglosassone e transalpino sembrerebbero invece collocarsi strategie ed obiettivi di alcune regioni italiane, non soltanto del nord – come gli arcaici cliché vorrebbero – ma anche e soprattutto del sud del Paese. Una di queste regioni potrebbe essere, anzi lo è, la nostra Campania, che in questi due anni e mezzo di nuova amministrazione di centrodestra, guidata da Stefano Caldoro, ha capovolto la logica dell’assistenzialismo, fissando prima e sviluppando poi il concetto di welfare produttivo, in antitesi a quello residuale che ha prodotto aberrazioni e storture come il reddito di cittadinanza, e dando vita di contro ad una serie di “azioni di sistema” che con il Piano della governance dei servizi alla persona hanno già attivato avvisi pubblici per circa 60 milioni di euro, tra risorse europee, nazionali e regionali. Cifra destinata a lievitare, sino a raggiungere lo stanziamento complessivo di 183 milioni di euro previsto dal Piano. Un’azione duplice, fondata sul rilancio dell’infrastruttura sociale da un lato e sull’elevazione del capitale umano e sociale dall’altro. Un mix di interventi che ha avuto ed avrà come destinatario finale quel cittadino-utente che, a ragione, rivendica in Campania prestazioni appropriate, in equilibrio tra sanitario e sociale, caratterizzate da costi e benefici standard, non sempre presenti dalle nostre parti, soprattutto in passato, con i loro effetti virtuosi. Così, mentre si investe nel sociale per il futuro, attraverso l’impiego di fondi strutturali ed il rilancio della governance locale dei servizi alla persona, si pensa già, con il nuovo Piano sociale regionale 2012/2014, a regolare i processi quotidiani del welfare campano, attraversato dalla crisi e corrotto, per fortuna oggi non più tanto, da costumi e modalità discutibili, ridottesi con il terminare del periodo delle cosiddette “vacche grasse” ma comunque sempre in agguato nei meandri più reconditi del sistema dei servizi sociali. Per scongiurare che vecchie abitudini ripiombino a danno dei cittadini, la Regione Campania ha approvato una legge di settore, riscrittura della 11 del 2007, che fissa la rotta per il futuro (la priorità vera diventano le non autosufficienze) e stabilisce controlli più serrati per chi amministra le politiche sociali sul territorio. E’ anche questo il motivo per cui le argomentazioni egregiamente illustrate sul Corriere della Sera da Maurizio Ferrera non risultano del tutto estranee alla Campania. L’ordinario di origini partenopee si sofferma sulle professioni del “secondo welfare”, “che accompagna ed integra il sistema pubblico e che in Italia stenta a decollare, penalizzando in particolare le donne con figli”. Di qui Ferrera si chiede come siano riusciti gli altri Paesi (lo sguardo è rivolto prioritariamente a Francia e Regno Unito) ad espandere i servizi, rispondendosi che “un ruolo di primo piano è stato svolto dai governi, attraverso un mix intelligente di sgravi contributivi per i datori di lavoro, agevolazioni fiscali e in qualche caso sussidi per i consumatori, coordinamento e regia da parte dell’amministrazione pubblica”. In qualche modo, la Campania ha seguìto questa rotta. Si sta infatti avviando verso un riordino delle professioni sociali, argomento che riuscirà a lambire nell’ambito del nuovo Piano Sociale Regionale, ma che la vedrà comunque impegnata più a lungo in futuro, così come ha avviato un investimento serio sulle infrastrutture sociali, un primo avviso pubblico da 30 milioni di euro per la realizzazione e l’adeguamento di centri polifunzionali è già partito mentre a breve si provvederà, sempre con avviso pubblico, a destinare un contributo a fondo perduto al privato profit e no profit per favorire l’attivazione di comunità tutelari per non autosufficienti ed anziani. Senza dimenticare quanto è stato già realizzato dalla Regione per accrescere specifiche professionalità laddove la richiesta di interventi da parte della cittadinanza è in crescita. Mi riferisco soprattutto all’avviso pubblico “Caregiver”, 10 milioni di euro per progetti tesi a sostenere le famiglie e calibrati sulle esigenze delle persone affette da malattie progressivamente invalidanti, tra cui Alzheimer, Sla, distrofia muscolare, sclerosi multipla, patologie tumorali, Hiv. Lo sforzo che si dovrà ulteriormente compiere sarà dunque quello di far incontrare sempre di più e meglio offerta e domanda nel mercato variegato dei servizi alla persona, con il pubblico, in questo caso la Regione, chiamato a garantire la qualità dei servizi e a far sì che gli incentivi oggi previsti per attori privati del cosiddetto “secondo welfare” poi si trasformino in servizi stabili e duraturi, in grado – per dirla con Maurizio Ferrera – di “tirare da soli” una volta decollati ed in grado, perché no, di offrire ai giovani un’opportunità occupazionale, magari precaria, non sempre di qualità ma pur sempre un’opportunità. Quella che Ferrera con saggezza definisce “una fonte di reddito, di integrazione sociale, un punto di inizio verso posizioni più stabili e gratificanti”. La Campania, dunque, è già su questa strada. E’ sulla strada della conciliazione vita-lavoro, ad esempio. Basti pensare che la giunta Caldoro ha varato per la prima volta nella nostra regione, non più tardi di un mese fa, l'avviso pubblico che prevede la sperimentazione di reti territoriali miranti alla realizzazione di azioni di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Reti che potranno nascere su base locale, dall'associazione di Enti locali, organizzazioni datoriali e sindacali, aziende sanitarie, terzo settore, consorzi delle Aree di Sviluppo Industriale, servizi pubblici territoriali ed altri soggetti pubblici o privati interessati. Uno stanziamento di 7 milioni di euro per favorire modalità di lavoro e tipologie contrattuali facilitanti (o family friendly) o all’introduzione di forme di flessibilità degli orari e dell’organizzazione del lavoro (anche telelavoro). Giusto per raccontare qualche esempio. Tutte azioni di sistema, quelle appena citate, che ci danno la possibilità di dialogare, seppur virtualmente e a distanza, con esperti del calibro di Maurizio Ferrera, che ipotizzano una rincorsa dell’Italia sul resto dell’Europa anche nel delicato settore del “welfare dei servizi”, quei servizi alla persona che oggi più che mai vanno visti in una dimensione produttiva e non residuale. “In fondo, in fondo”, a questo servono i governi e le amministrazioni pubbliche, a cambiare rotta quando le condizioni storiche e sociali mutano. La Campania l’ha capito e già fatto due anni e mezzo fa.
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